FACESHOPPING / SOPHIE (SOPHIE & AARON CHAN)

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SONO REALE QUANDO COMPRO LA MIA FACCIA.

È possibile riassumere un body-horror in quattro minuti senza versare una goccia di sangue, né coinvolgere i maestri degli effetti speciali al lattice liquido?

Apparentemente sì, e i graphic designer Esteban Diacono e Adam Gerber lo confermano in un video frastornante, creato per scuotere i sensi e apocalizzare le prospettive della società moderna.

L’artista britannica SOPHIE, prematuramente scomparsa in un tragico incidente domestico nel 2021, dirige insieme al collega Aaron Chan una breve odissea nel mondo del sintetico, utopistica e distopica al contempo.
Le immagini scorrono a mo’ di flash stroboscopici, come stilettate dirette alle meningi dello spettatore, brillanti e nitide, ma talmente rapide da insinuare un’inquietudine subliminale sottopelle.

La cantante si esibisce in una sorta di filastrocca anastrofica, variando l’ordine di espressioni quali “my face”, “real”, “shop”, “front”. Ogni parola viene trascritta di volta in volta sullo schermo, con font e colori diversi, appaganti, bombardanti.
My face is the real front shop, I’m real when I shop my face, my shop is the face I front

E intanto lampeggiano immagini stock della più varia natura, in altissima definizione, talmente vere da sembrare finte. Le nervature della carne, i pori della pelle, i trucchi e i rossetti.
E in mezzo c’è lei, SOPHIE in persona, ripresa in primo piano.
O almeno, è davvero lei?

L’esperto di robotica Masahiro Mori potrebbe prendere in prestito quel volto per una riedizione del suo trattato sulla “uncanny valley”, il fenomeno per cui l’eccessiva somiglianza di un oggetto alla figura umana provoca repulsione e inquietudine.

Si tratta, infatti, di una scultura digitale costruita sul viso della musicista: plastica, inespressiva, profondamente ambigua. E, nelle mani di chi di grafica 3D se ne intende, deformabile fino ai limiti dell’immaginazione.
La faccia di SOPHIE viene plasmata, mutilata, affettata, allungata, scomposta e rigirata come un pezzo di plastilina.

È come assistere allo spot arcano di qualche brand emergente, insensato ma ipnotico, disturbante ma fascinoso.
L’artificialità della musica, del testo e persino della sua esposizione vocale, il significato sfuggente eppure costantemente palesato, riflette il destabilizzante valore posticcio delle figure mostrate.

Loghi di social media, marche di bibite, scritte distorte e capovolte, stupri cromatici e momenti di buio: il buco nero dell’era delle apparenze risucchia il pubblico nel suo tunnel vorticoso, gettandolo in balia di una tempesta cerebrale.

Gli stimoli sensoriali si accumulano, incedono con prepotenza, smuovendo e sballottando le sinapsi.

Fino a che punto l’immagine che diamo di noi stessi resta una maschera per il mondo esterno, uno strumento convenzionale per rapportarci all’altro? Quand’è che la (ri)costruzione del nostro aspetto diventa una vera e propria forgiatura del nostro io?

E chi traduce in business un simile umanissimo bisogno, trasformando il corpo in merce e materia prima da modificare secondo i trend?

Che a operare sia il bisturi del chirurgo o il filtro di Instagram, che a parlare siano i like dei follower o gli occhi appagati di chi si guarda nello specchio, e si identifica con ciò che vede.
È il look che condiziona la nostra essenza, o è semplicemente il riverbero tangibile di ciò che siamo, o di ciò che sentiamo di essere?

La riflessione resta in quella meravigliosa zona grigia dell’ambivalenza che ci ossessiona senza esprimere giudizi, che ci invita a pensare, considerare e soppesare il messaggio valutandone ogni direzione e ramificazione.
Perché se è vero che il riff violento e la carrellata spastica di deliri computerizzati ha le sembianze (e non si parla proprio di sembianze, in fondo?) di un incubo psicotronico, il fatto che la stessa SOPHIE fosse un’artista transgender porta il discorso sulla manipolazione del fisico su livelli assai meno faziosi.

Certo, il fatto che l’ultima sequenza mostri un viso che liquefa come cera al sole non tira somme propriamente rassicuranti.
Nessuno meglio di SOPHIE comprende l’importanza dell’apparenza, ma perdere il controllo resta una prerogativa comune a qualsiasi facoltà umana.

E tra un’elucubrazione e l’altra, godiamoci la sublimità di questa sfilata uncanny!

SOPHIE. SOPHIE & Aaron Chan. 2018.

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