BLOOD OF THE FANG / CLIPPING (LARS JAN)

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DAI VAMPIRI ALLA RIVOLUZIONE.

La voce calda di Sam Waymon introduce su cupe tonalitĂ  mistiche il brano: viene citato un mito africano, secondo cui un tempo si era sviluppato presso un antico popolo una vera e propria dipendenza dal sangue. Vampirismo?

In effetti la fonte del sample vocale, che ricorrerĂ  piĂą volte nel corso della canzone, è proprio un film di vampiri del 1973. Ganja & Hess, col Duane Jones di La notte dei morti viventi, diretto dal filmmaker afroamericano Bill Gunn e poi rifatto da Spike Lee come Il sangue di Cristo nel 2014, è per l’appunto un atipico horror “all black”, che vede una coppia di amanti predare ignare vittime per berne la linfa vitale.

Opera complessa e suggestiva, che si apre a innumerevoli chiavi di lettura e riflessioni pregnanti sull’identitĂ  culturale, l’assimilazione socio-elitaria e il rapporto con la fede dei neri negli USA.

Curioso e coerente, dunque, che i Clipping siano partiti da questo relativamente oscuro reperto arty per meditare sulla violenza del passato alla luce di una altrettanto brutale contemporaneitĂ .

Dal punto di vista figurativo, il video di Lars Jan si apre sull’onirica reinterpretazione di una fotografia degli anni ’60, dove il giovane Huey Newton, co-fondatore dei Black Panther, era ritratto su un letto d’ospedale, ammanettato e con una ferita d’arma da fuoco all’addome, ricordino di uno scontro con la polizia.

Newton viene qui sostituito dal cantante Daveed Diggs, che, sanguinante e a torso nudo, sembra ridestarsi da un sonno di mezzo secolo, insieme alla sete di rivalsa di un popolo oppresso sin dall’alba della storia moderna.

Le strofe frenetiche del rapper citano il pensiero di famosi attivisti neri (Bobby Seale, Angela Davis eccetera), mentre la lampada accecante che illumina la barella su cui è disteso si abbassa a mo’ di pendolo poeiano. Diggs si dimena, ma non può sottrarsi alla tortura.

Poi la svolta: nel giro di uno stacco di montaggio, il corpo dell’artista si dilegua, la lampada si alza. Sul freddo lettino ora vacante si staglia una strana macchia di luce rossa, su cui l’obiettivo della camera comincia a focalizzarsi. Il bellissimo coro infantile che si alza a suon di “Aw Deeyanga, Aw Deeyanga” (anche questo per gentile concessione del film del ’73) ne increspa la superficie a ritmo di musica, in un effetto acquoso che lascia pochi dubbi sulla natura di quella tinta scarlatta.

Sangue. E non il “dolce sangue di Cristo” che nella pellicola di Gunn metteva fine alla maledizione. No: questo è sangue umano, sangue che nell’ottica di una guerra razziale andrĂ  inevitabilmente sparso.

Nel sangue va trovata la via per la libertà: le rivoluzioni non si possono attuare a parole. Daveed, ora senza manette, immagina così la resurrezione dei capi spirituali del terrorismo nero, tornati nel mondo dei vivi per portare a termine la propria missione.

La disperata ricerca di una giustizia sociale si macchia consapevolmente di orrore e follia: la necessitĂ  del sangue versato non ne lima l’intrinseca brutalitĂ , sfociando in un vero e proprio incubo surreale.

Forse l’immagine piĂą significativa e sconvolgente del clip resta l’incredibile operazione a cuore aperto condotta da un’equipe medica su… un fucile d’assalto! In una scena che si direbbe partorita da un David Cronenberg in stato di grazia, i chirurghi provvedono a tagliare, medicare e ricucire l’arma come un qualsiasi paziente bisognoso di un trapianto.

Il metallo diventa carne, i meccanismi si fanno organi interni, l’emoglobina schizza instancabile, mentre Diggs in persona si mostra sorridente fra i dottori, partecipe egli stesso di tale macabro intervento.

L’ossessione del popolo americano per pistole e fucili è oramai divenuto un clichĂ© nell’era post-Michael Moore, così come il controverso sistema sanitario a stelle e strisce, su cui si potrebbero muovere centinaia di obiezioni etiche. L’idea di racchiudere in una singola trovata visiva, peraltro così visceralmente disturbante, entrambe le scottanti questioni ha del geniale.

Nell’ultima scena, il nostro rapper-attivista scende in battaglia brandendo il fucile e marciando verso il suo sanguinario destino, per poi nutrirsi letteralmente dell’arma, morso dopo morso. Si avverte un’ombra di ammessa complicitĂ  nell’atto di consumare il medesimo strumento che una societĂ  tradizionalmente bianca ha eletto a feticcio e motivo di orgoglio. Qui risiede la spaventosa e ironica ambiguitĂ  del sentimento revanscista. Qui risiede la sottile potenza concettuale del video.

ChissĂ , magari da qualche parte Bill Gunn e Duane Jones osserveranno ammirati.

CLIPPING. LARS JAN. 2019.

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Fabrizio
Ospite
Fabrizio
2 anni fa

Mah, una volta bastava farsi una “canna” e il risultato era lo stesso

Alessanito
Member
2 anni fa

Ora si è passati alla canna del fucile 🙂

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