URBAN TIME LAPSE.
A primo impatto la clip si presenta come una sfuggevole sovrapposizione di corpuscoli luminosi non ben identificati che si ripetono in modo ossessivo, dando l’impressione di un esercito di filamenti, esserini monocellulari, fosfeni o spermatozoi visti sotto una macro-lente, in una sequenza maniacalmente ordinata che lascia degli interrogativi sulla sua origine.
Nella realtà, il regista Kevin McGloughlin si diverte a “far danzare” migliaia di scatti urbani, caratterizzati da fonti luminose che appaiono come comete o fuochi d’artificio nell’iper velocità di una abbagliante fonte percettiva sguinzagliata in una periferia notturna, dalla quale emergono dettagli folgoranti sullo sfondo scuro dell’ambiente circostante, a sua volta sconvolto come in un delirio che scardina simmetrie e prospettive.
Un montaggio spasmodico che sovverte l’ordine percettivo, per ricostituire una qualche forma di fruizione di una realtà che sfuggirebbe nel normale succedersi delle informazioni visive, immergendo lo spettatore in un fluido labirinto di ombre e bagliori alla ricerca di qualcosa di familiare e di riconoscibile che faccia da ancora di salvezza, qualche albero, il baluginare di un sottopassaggio, cartelli e indicazioni stradali che ruotano o fluttuano sostenute dal geometrico
groove di basso che si fa largo insistentemente per tutto il brano degli Shit Robot.
SHIT ROBOT FEAT NANCY WANG. KEVIN McGLOUGHLIN. 2016.