UNTIL THERE IS NO END / LORN (BARTOSZ WOJDA)

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FRATTALI DI MANI E GROOVE POLMONARI.

Secondo la logica comune, la consequenzialità del processo onirico prevede ovviamente che il soggetto chiuda gli occhi prima di penetrare nel mondo dei sogni.

Nel video animato da Bartosz Wojda, però, la logica c’entra poco.

La modella Paulina Hanzel, privata di ogni pigmentazione, ridotta alle linee essenziali – l’outline e i tratti facciali basici – con un tratto tremolante e imperfetto che associa il freddo rigore dell’animazione digitale all’irreale fluidità del rotoscope, deve aprire gli occhi affinché le sue manifestazioni inconsce prendano vita.

L’incipit mostra una specie di intreccio arboreo in silhouette, fuori fuoco e pertanto indecifrabile; appena la sfocatura si attenua, scopriamo che quelli non sono affatto ghirigori vegetali, ma composizioni di… mani!
Disposte in precise formazioni simmetriche, aggrovigliate fra loro, mosse in armonia come in una performance di nuoto sincronizzato.

Ma non sono loro le uniche protagoniste del clip: l’inquadratura successiva esibisce una vera e propria foresta di bizzarri accessori organici, direttamente dalle zone interne del corpo umano.
Non è chiaro di che elementi si tratti: tessuti, organi, ghiandole e vasi sanguigni si sovrappongono e si fondono fra loro, pulsando e fremendo tutti a suon di musica.

Sarà proprio la musica di Lorn a scandire le movenze della ragazza nella sua inquietante danza di destrutturazione fisica.

Paulina si accarezza il busto e le braccia, e a ogni passaggio della mano la pelle scompare, scoprendo tutto ciò che si nasconde sotto la sua superficie.
Tagli grotteschi si aprono e si chiudono sul ventre, ossa e visceri si palesano e si dileguano, in un guazzabuglio acido ai limiti del body horror o dello zombie-movie.

Ma non aspettiamoci un saggio di anatomia: non c’è nulla nella ragnatela biologica della giovane che ricordi le tavole illustrate nei libri di medicina. I muscoli assomigliano a intestini, i tendini si gonfiano e si sgonfiano a mo’ di succursali cardiache, gli omeri sembrano colonne vertebrali e le arterie funzionano come valvole di un motore carnoso da officina cronenberghiana.

Anche i colori, opachi e insaturi, migrano dal rosa al giallastro, dal verde all’azzurrognolo, voltando le spalle alla meticolosità scientifica.

Il corpo si fa dunque organismo scomponibile, macchina stratificata, assemblaggio esplorabile di surreali agglomerati di cellule, che non si fermano mai, neanche quando la loro corazza antropomorfa pare immobile.

Perché nulla resta mai davvero fermo, dentro di noi. Proprio come quelle outline tremolanti: spontanee e vitali anche quando, prima dell’epilogo strumentale, la canzone si stoppa e con essa anche la stilizzata modella. Già, le sue linee continuano a vibrare: capiamo così che non si tratta di un problema di buffering del video.

Le mani restano registe e conduttrici di questo insano gioco di armoniosa deframmentazione, sinuose orchestratrici e ballerine a loro volta, in montaggi ritmici che ricordano le angosciose visioni di Ed Wood nel famigerato Glen or Glenda?, o le fobie di Joan Crawford nel bellissimo Lo sconosciuto, se non la demoniaca ossessione di Devon Sawa in Giovani diavoli.

Ombre cinesi proiettate dalla luce di una tavoletta grafica.

Insomma, non sono forse le mani le componenti più teatrali ed espressive del nostro corpo? Sensuali, confortanti o minacciose, quasi extraterrestri nella loro versatilità dinamica, trovano nei fotogrammi di Wojda un degno omaggio al loro intrinseco e naturale fascino.

E ora che il sogno è giunto a termine, Paulina Hanzel può svegliarsi e… chiudere gli occhi.

LORN. BARTOSZ WOJDA. 2014.

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