PRADA/RAKATA / ARCA (FREDERIK HEYMAN & ARCA)

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SIPARIO APERTO SUL GENERE LIBERATO.

Un trionfo di un futuristico immaginario cyber punk/barocco spinto oltre ogni limite dove la forza trasgressiva che da anni ARCA si porta dietro, unitamente alla sensualità e alla sessualità più fluida e trasversale e all’esaltazione transumanista, toccano qui punte di strabordante visionarietà da provocare quasi una bulimia percettiva.

Due teste fulminate, quella di ARCA e quella del visual artist Heyman, interagiscono col proprio massiccio carico di ego e fanno da detonatore per dar sfogo ad una serie di scenari che si compenetrano l’un l’altro, stracolmi di citazioni e simbolismi, archetipi e gestualità autoironica e maliziosa, che puzzano di plastica bruciacchiata, una sorta di tritarifiuti per ogni ideologia moraleggiante, ovvero una sonora sfilza di calci negli zebedei dei benpensanti.

In ogni riquadro si beffeggia sia il museo di anatomia umana con tutti i suoi raccapriccianti particolari, sia le morbosità dell’arte contemporanea, le installazioni e le sculture di Matthew Barney, dei fratelli Chapman, di Jeff Koons, le teche di vetro e formaldeide di Damien Hirst, in cui la musicista venezuelana “in persona” si cimenta in una danza insieme a un gigante caudato, mentre una grandinata di proiettili si abbatte sulla superficie di cristallo, crivellandola di colpi.

ARCA, anzi il suo avatar in digitale, proiettato in una sorta di inferno meccanizzato, cavalca un animale fantastico al centro di simboli di genere, tra fasci luminosi, getti di lava, fumi e lapilli, o in mezzo a una piattaforma metallica incisa da raggi laser che ruota al lento procedere di alcuni bovini da tiro; poi, con le sembianze di una gigante sirena impassibile dal braccio fuciliforme, installata all’apice di un’impalcatura disseminata di corpi nudi che amoreggiano collegati gli uni agli altri da un cordone ombelicale fiammeggiante; o ancora, dall’aspetto bicefalo, immersa in uno scenario preso in prestito da Bosch, tra scheletri gemelli legati tra loro e altre creature mostruose a completarne l’orrifico teatrino semovente; infine, come una strega costretta all’ineluttabile rogo, fatta roteare in un cerchio di metallo spinto da due energumeni su un tapis roulant obliquo.

Insomma: su un ritmo reggaeton sporcato da sonorità elettroniche, una continuità narrativa di deliri e visioni eccessive, che fa proprio, da più angolazioni, un argomento sociopolitico ancora (purtroppo) dibattuto, l’identità fuori da ogni vincolo e pregiudizio, al quale l’artista tiene profondamente.

ARCA. FREDERIK HEYMAN & ARCA. 2021.

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