UNDONE / SON LUX (DAVID TERRY FINE)

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LE SFIDE DELL’INTIMITA’.

Fra i tanti insegnamenti della filosofia occidentale divenuti pop (almeno quanto la favola esopica della rana e dello scorpione) vi è il celebre “dilemma del porcospino” – una sorta di parabola elaborata dal filosofo tedesco Arthur Schopenhauer nel secondo volume del suo “Parerga e Paralipomena” del 1851.


Alla sezione 396 del XXXI capitolo leggiamo:
“Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali. finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.
Così il bisogno di società, che scaturisce dal vuoto e dalla monotonia della propria interiorità, spinge gli uomini l’uno verso l’altro; le loro molteplici repellenti qualità e i loro difetti insopportabili, però, li respingono di nuovo l’uno lontano dall’altro. La distanza media, che essi riescono finalmente a trovare e grazie alla quale è possibile una coesistenza, si trova nella cortesia e nelle buone maniere.”

Il dilemma del porcospino, qui declinato nella sua accezione originaria di monito per accordare i bisogni del singolo a quelli dell’intera società, è stato col tempo adattato anche al micro-cosmo delle relazioni umane, specialmente in chiave esistenzialista; gli esempi sono numerosissimi – primo fra tutti l’anime capolavoro di Hideaki Anno, “Neon Genesis Evangelion” (1995-1996), dove la citazione della parabola assume un ruolo fondamentale per meglio comprendere il carattere tormentato e problematico del protagonista Ikari Shinji.


E un altro esempio di quanto quest’insegnamento filosofico sia tutt’ora pervasivo e ricorrente nell’arte lo abbiamo anche in “Undone” (2016) dei Son Lux, trio di musica sperimentale statunitense formatosi nel 2008 grazie ai progetti visionari del frontman e leader Ryan Lott.
Infarcito di due velocissime linee musicali – chitarra da una parte ed elaborate percussioni dall’altro – il videoclip di “Undone” è un perenne inseguimento, dove i due protagonisti, probabilmente amanti, riescono a raggiungersi solo nel centro nevralgico del pezzo, a metà canzone.


Questo singolo dei Son Lux è in primo luogo incentrato sui contrasti cromatici, non solo i più immediatamente riconoscibili, come le carnagioni dei due protagonisti (una donna bianca e un uomo di colore), ma soprattutto quelli che interessano i due “luoghi” della narrazione, vale a dire il mondo “reale”, un enorme campo di granturco, dove avviene l’inseguimento, e quello oscuro e privo di colori dove invece avviene l’incontro – e che, a sua volta, può simboleggiare l’interiorità comune a entrambi i personaggi.


In “Undone”, tuttavia, più che nella narrazione visiva, i riferimenti al dilemma del porcospino sono molto più evidenti nel testo. E sono proprio i primissimi versi del brano a suggerire l’idea, sintetica, delle difficoltà che si possono incontrare nell’aprire le nostre interiorità agli altri, soprattutto in una dimensione d’intimità condivisa.
“You lead the rescue but you’re bleeding out, you think you’re honest but you have your doubts” – si legge nell’incipit di “Undone” – e da subito emergono le contraddizioni nel gestire le nostre emozioni mentre, in contemporanea, dobbiamo essere forti anche per l’altra persona, quando si tratta di crisi o turbolenze emotive. Ciò che più contribuisce a creare legami duraturi, infatti, è la consapevolezza di potersi dimostrare vulnerabili senza venire giudicati dal partner.


Il senso di tutto, vale a dire dei preconcetti che ci portiamo dietro e che crollano, si disfano (“come undone”) quando si giunge a metabolizzare l’idea che sia possibile ricominciare (“start again”) ad amare; una verità, questa, che spesso vorremmo esprimere ma non riusciamo a verbalizzare (“you want to say it, but your mouth is shut”) oppure a cui non vorremmo credere, isolandoci dagli altri, ma a cui dobbiamo credere perché altrimenti non varrebbe la pena vivere.

SON LUX. DAVID TERRY FINE. 2016.

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