GASOLINE / THE WEEKND (MATILDA FINN)

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MI RITROVAI PER UNA DISCOTECA OSCURA…

Un’esperienza tipicamente ai confini della realtà quella che aspetta un invecchiato Abel Tesfaye, in arte The Weeknd, al brusco termine di un viaggio notturno in auto, preannunciata dai segnali tipici di un incidente degno del triangolo delle Bermude.

L’apparecchio acustico dell’uomo va fuori controllo, l’autoradio impazzisce, formiche tanatofile invadono l’abitacolo e, in piccoli flash forward alla luce del giorno, scorrazzano intorno all’orecchio del cantante, pronosticandone una triste sorte.

E poi lo schianto: fine della corsa, contro un segnale stradale.

Lo sfondo di un’eclissi lunare pare più che appropriato per l’occasione.

Abel, disorientato ma pressoché incolume, scende dalla macchina e constata di esser finito in una sorta di moderna selva oscura. È assai diversa da quella descritta da Dante, priva com’è di vegetazione, più simile a un illimitato deserto cementizio, costellato di pozzanghere, raccolto nella vaga cornice di nubi temporalesche.

I disturbi tecnologici cessano, e dal cruscotto del veicolo abbandonato possono finalmente propagarsi le prime note del brano. Coi suoni giungono le immagini, e la fantasia della videomaker Matilda Finn dona vita a fantasmiche – eppur concretissime – figure che trasformano in un paio di beat lo spoglio scenario in un vero e proprio nightclub danzereccio alla luce blu.

I ballerini sono tutti giovani, bellissimi, completamente rapiti dal ritmo e dall’estasi del momento.

L’anziano Tesfaye è sbigottito, spaventato, ma anche quando tenta di allontanarsi viene trattenuto per le caviglie da mani senza corpo che affiorano da una pozzanghera ai suoi piedi!

Nella spettrale calca di lascivi danzatori il cantante individua una presenza anche più inaspettata del resto: se stesso, ma nel fiore degli anni, sorridente e gaudente come un tempo, interessato solo a godersi l’attimo.

Poco importano gli occasionali (ma sempre più frequenti) cedimenti fisiognomici che svelano fulmineamente il vero volto della folla circostante, in uno scenario dai sentori infernali che si espande fino all’ambiente stesso: serpenti lussuriosi su corpi seducenti, peccaminosi amplessi in pubblico, fiori alieni che sbocciano da crepe parietali, subliminali visi demoniaci che si palesano all’improvviso come si vedeva in L’avvocato del Diavolo di Taylor Hackford.

Il giovane Tesfaye accoglie quel terrificante, inebriante universo fra lacrime di gioia e di velata repulsione, come se fosse conscio dell’immoralità in cui sta naufragando, ma nondimeno complice di quel dolce traviamento, rapito dal piacere della perdizione.

È un surrealismo da incubo, tanto grafico quanto concettuale, quello su cui la regista inglese investe, confezionando un raffinatissimo ingorgo di simbolismi e allucinazioni, scorci onirici in una dimensione già di per sé psichica, un viaggio spirituale che disseziona l’anima del protagonista esibendo e mescolando ombre del passato e del futuro.

Infatti, come l’Abel giovane incrocia lo sguardo del suo io più maturo, prendendo consapevolezza del mesto destino cui un’esistenza sregolata finirà per condurlo, così anche l’Abel anziano fronteggia rimorsi e rimpianti, pentendosi delle proprie sconsiderate scelte e subendo il peso delle conseguenze.

Ma chi sperava che tanto bastasse per riportare il Tesfaye errante sulla diritta via, dovrà ricredersi: agli occhi trentenni del cantante, la figura di quell’ometto incanutito e fragile appare mostruosa quanto un satanasso deforme, un nemico da eliminare a ogni costo, anche con la forza bruta.

A suon di pugni e calci si consuma il confronto finale fra lo ieri e l’oggi, il rifiuto di un saggio monito che all’orecchio dello spensierato peccatore suona solo come un blaterare da bacchettoni.

Deliziosamente eerie l’inciso muto che sospende brevemente il video, in preparazione dell’ultimo atto. Il mondo “di sotto” osserva quello “di sopra”: i mortali contemplano gli spiriti con le teste rivolte verso l’alto, in direzione dell’eclissi, in un enigmatico momento di rarefatta attesa che ricorda uno dei pochi momenti riusciti del recente Occhiali neri di Dario Argento. Il tempo passa in un lampo, la bellezza sfiorisce, il “male” presenta la sua salatissima parcella.

Ciononostante il violento finale mostra un The Weeknd tutt’altro che redento: calpesta a morte il proprio futuro, godendosi gli schiamazzi e le risate dei suoi compagni di divertimento, infischiandosene degli esiti, abbracciando il vizio come espressione di libertà.

Mai termini più spietati furono impiegata per un’apologia dell’oraziano Carpe diem!

THE WEEKND. MATILDA FINN. 2022.

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