DIFFICILE DA METTERE A FUOCO.
Una gioventù che si sente persa, sola, spaurita. Una gioventù immersa in un ambiente asettico, igienizzato e sterilizzato, bianco candido, troppo bianco candido. Una gioventù confusa anche nel genere, nelle azioni, nelle possibilità: aggressivo? Pacifico? Resistente? Rassegnato? Una miscellanea di presenze ma in una quasi assenza di forza, di umanità, di determinazione. Fredda. Nessun contato con l’aria, con la natura. Solo relazioni mediate da una tecnologia ben studiata, da plastica, vetro, freddi metalli.
Incatenati. Appesi. Tesi. Soli.
Un ragazzo e una ragazza si inseguono a distanza senza trovarsi, senza incontrarsi se non nel sentimento spaventato del non voler rimanere soli ma da soli cantano, da lontano alternano il grido che chiede aiuto. La solitudine maschile che negozia la modalità del cantato. Singhiozza. Le scene si spezzano come in un rigurgito che viene su dallo stomaco dell’inconscio. Si muove a scatti, si muove ad impulsi. La solitudine femminile, stesso grido e stesse parole, sesta solitudine, ma immersa in una vasca, in un esperimento: un liquido artificiale che la mostra sola come cavia di in un’osservazione scientifica.
Forse così saranno i giovani del futuro. Inquieti per eredità. Soli per incapacità a relazioni e scambi.
Più che ad un futuro distopico però, mi fa venire in mente un caos di significati delle parole relazione, legami, amicizia, sentimenti.
Un bel video che con un educato gridolino di paura dice: “non voglio essere solo” ma finisce col dirlo in una landa desertificata e isolata piena di solitudine e povera di interazioni.
Tutti i ragazzi del video sono come quegli astronauti addestrati a muoversi con cautela e responsabilità perché dovranno vivere nello spazio aperto e un minimo errore costerà loro la vita. Una tuta hi-tech come vestito, una piattaforma di lancio che li sostiene, argani e catene per fermarli. In quest’ambiente immersi in una tecnologia ultra futuribile non omaggiata ma subita. Non è una gioventù che si bea di vivere all’interno di questo mondo: forse è pronta a partire per scoprirne un altro…
Quindi un esperimento. Non è un laboratorio futuristico ma un esperimento finale, una sorta di ultimo tentativo. Provare a sterilizzare la vita al fine di renderla un procedimento sicuro, senza rischi, senza intoppi: dalla nascita alla morte senza azzardi, senza incidenti e quindi senza esperienze e senza gusto.
Con un montaggio a strappi, deformazioni di immagini, sfocature, allungamenti. Singhiozzi e ritmi sincopati. Un’immagine lucida, raffreddata, fatta di penombre sfocate e luci abbaglianti che rendono in una direzione o nell’altra difficile mettere a fuoco.
Ecco cosa è: un futuro difficile da mettere a fuoco, una vita difficile da mettere a fuoco.
LABRINTH. DANIEL SANNWALD. 2023