INSOFFERENZA PER VECCHI.
Dilungarsi nell’apprezzare i messaggi che le clip vogliono trasmettere, coadiuvate o meno dalla musica, è una qualità comune a tutte quelle persone che non si limitano ad uno sguardo fuggivo, ma assaporano e ricercano significati tra le righe, per personale soddisfazione o giubilo.
C’è poi chi porta questa qualità all’estremo, dipingendo paesaggi immaginari laddove si trova solo una vasta vacuità; distorcendo così la natura stessa dell’azione. Da qui nascono tutte quelle situazioni dove si finisce per fare una sovrainterpretazione di un prodotto che ha poco o nulla da offrire, a volte anche da parte della critica specializzata.
Tutto questo crea nel pubblico un artificioso senso critico che li spinge a trovare valori in opere prive di qualsiasi qualità intrinseca e, conseguentemente, diventa fonte di produzioni includenti lato autori, poiché consapevoli di questo fatto.
Ed allora, senza criticare musica e testo che sono sicuramente godibili e di livello, quello che rimane è una clip che porta sulle spalle tutti gli anni passati dalla sua data di pubblicazione (2016), non solo per la scelta di mettere i messaggi di testo a schermo ma anche per la superficialità con cui tratta il tema dell’isolamento digitale.
C’è però da aggiungere che la grande sensibilità e profondità con cui viene trattato l’argomento “social” è di recente nascita, nonostante le discussioni a riguardo siano molto più vecchie. É quindi giustificabile un approccio un po’ ingenuo da parte di un prodotto che ormai ha sette anni sulle spalle, che come obbiettivo primario non si pone di portare una critica tagliente ma piuttosto di creare emozioni, e quest’ultimo scopo, c’è da dire, lo raggiunge.
La cantante, Róisín Murphy, si muove in una città dove la maggior parte delle persone (non tutte perché sarebbe risultata una sovrabbondanza visiva) hanno la testa avvolta da ogni sorta di emoji o icona, a simboleggiare il distaccamento dalla realtà o la “corruzione” di cui la tecnologia è portatrice. Quindi lei si ritrova sola, nel suo tragitto verso casa circondata da gusci vuoti che neanche la notano, e pare quasi che il mondo digitale sia fuoriuscito andandosi a mischiare con quello reale. L’unico compagno di viaggio che sempre la segue è il comicamente grande simbolo del tracciamento delle mappe, come a dire che in un mondo dove tutti sono collegati ma soli, l’unico modo per non esserlo è piegarsi alla tecnologia.
Comunque sia, questa potrebbe essere una lettura dettata da una esasperazione causata dalla saturazione derivata da un costante riproporre critiche spicciole sull’argomento, e forse, la chiave di lettura va ricercata nell’esperienza personale dell’artista che quindi non può e non deve essere applicata alla quotidianità..
RÓISÍN MURPHY.2016.