MAIALE SULL’ORLO DI UNA CRISI DI NERVI.
Il sodalizio artistico fra i Gilla Band e il videomaker Bob Gallagher non smette di sorprendere e di assalire i sensi su ogni fronte, in un turbinio di tensione e humour nero, orrore psicologico e morbida insania.
Anche piccoli incisi ininfluenti ai fini della trama, come la parentetica sequenza di una ragazzina imbronciata che si becca uno schiaffo dal burbero padre, vanno a costituire un ensemble dominato dallo squallore e l’inquietudine di un’ironia disagiante.
Protagonista del video è un intrattenitore televisivo per bambini, membro del cast di uno di quegli agghiaccianti programmi da età prescolare che coinvolgono i piccoli spettatori in balletti, canzoni e filastrocche.
Qualcuno ricorda “La Gaia Fattoria”, lo show di cui Stewie Griffin era fan sfegatato? Ebbene, questo “Sunrise Farm” ne sembra il remake a basso budget. A giudicare dalla qualità delle scenografie e dei costumi utilizzati, si direbbe proprio uno di quei prodotti secondari trasmessi su reti provinciali.
Basta un’occhiata alla faccia del nostro uomo (chiamiamolo Paul, in conformità al titolo del brano) per comprendere appieno il logorio mentale cui la sua grama esistenza lo condanna di giorno in giorno.
Costretto a indossare lo stesso, stupido, puzzolente e sudaticcio costume da maiale a ogni puntata, a ripetere gli stessi giochetti prova dopo prova, a fingere di essere allegro e di andare d’accordo coi suoi colleghi…
Certo, non è difficile immaginare che anche gli altri attori – specialmente quelli obbligati a vestirsi da bestia campagnola – condividano buona parte della frustrazione di Paul, ma nessuno di loro sembra patire il suo medesimo processo di deterioramento psichico, una di quelle turbe che soltanto tipi come Michael Douglas in Un giorno di ordinaria follia descriverebbero in maniera appropriata.
Attraverso le narici del mascherone da suino, Paul osserva in silenzio i membri della troupe, ne scruta le chiacchiere e ne soppesa gli odiosi sorrisi, come uno stalker che non ha bisogno di nascondersi. In particolare pare attratto, se non infastidito, dalle attenzioni che i maschietti ripongono sulla graziosa segretaria di edizione dai capelli ricci.
E se la routine allo studio televisivo è gravosa, non va meglio nella sfera privata: Paul fa spesso visita a suo padre, anziano e infermo, posteggiato in una casa di riposo e del tutto indifferente nei confronti del figlio. Anzi, si può affermare che quello dipinto sul volto del vecchio sia puro disprezzo: che si tratti di antichi rancori o di semplice delusione per i suoi fallimenti carrieristici, il genitore non manca di manifestare quotidianamente il proprio più sincero disgusto per il nostro Paul.
Mentre la spirale delle depressione si stringe attorno a lui e la musica del gruppo si fa sempre più incalzante e ossessiva, Paul tenta di mitigare l’infelicità a sorsate di vodka e sniffate di sostanzine non propriamente lecite.
Inutile sottolineare che il consumo di alcol e polverine psicotrope non abbia effetti benefici sulla vita dell’uomo, e non solo per qualche gaffe sul posto di lavoro, ma anche e soprattutto per una sequela di preoccupanti allucinazioni che finiscono per dar forma ai suoi timori relazionali, portando a ebollizione l’ira repressa che ristagnava in qualche zona ferina del suo cervello.
Il detestabile sorriso dei bambini, gli sguardi beffeggiatori della gente, gli amplessi clandestini consumati fra l’uomo-gallo e la segretaria dai capelli ricci… che si tratti di complete fantasie o di distorsioni di eventi reali, Paul oltrepassa il limite della sopportazione.
Quando il crescendo della canzone tocca il suo apice, Paul parte all’attacco e, nel bel mezzo della registrazione di un episodio, si getta contro quel maledetto gallinaccio, incurante degli occhi sgomenti della crew e del terrore stampato sui faccini dei bimbetti ospiti in sala.
A furia di pugni e percosse, Paul stende il suo acerrimo nemico piumato e, in un ultimo disperato gesto, rimpiazza la propria maschera con la sua: un corpo di maiale con becco e cresta comincia dunque a dimenarsi sul palco, preda del più totale parossismo, inarrestabile come un invasato.
Fra lo shock e l’esaltazione sensazionalistica, nessuno ha il coraggio o il desiderio di intervenire per fermarlo. La telecamera continua a girare, i fonici non abbassano i microfoni, i bimbi guardano impietriti e i traumi infantili pregustano le loro giovani prede.
Concluso tutto, il nostro Paul riprende fiato, si toglie la maschera, si rimira attorno come un sonnambulo che si sia destato al centro di una piazza, subendo le espressioni inebetite degli astanti e rivestendosi di incredulo imbarazzo.
Eppure coglie alla sprovvista l’abbraccio confortante con cui il gallo, dopo essersi ripreso dalla scazzottata, lo perdona. Nessun rimprovero, nessuna ripicca, nessun allontanamento dallo studio. Anzi, qualcosa mi dice che se la sfuriata di Paul diventasse virale, potrebbe pure portargli un aumento di stipendio…
GILLA BAND. BOB GALLAGHER. 2015.