REALTÀ STUPEFACENTE.
Mentre i riffs garage punk dei californiani “Thee Oh Sees” cominciano a scaldarsi e a tingersi di assoli psichedelici, le riprese di Yoka si alternano con taglio voyeristico tra il laboratorio di un “cuoco” sudaticcio che centrifuga pasticcume vario intento a sintetizzare nuove droghe e scene all’aperto di giovani in preda ad una danza convulsa e reiterata, conseguenza di uno sballo non certo occasionale, che di buon grado si prestano ad ostentare (forse con un pizzico di ironia) la propria condizione.
Il taglio pseudo-documentaristico, a volte facendo leva sulla “veridicità” della bassa definizione, crea un mix tra raccapriccio e un certo distacco moraleggiante, e, se non fosse per il trucco volutamente esagerato sulla pelle dei protagonisti e l’evidente ruolo della studiata coreografia, quasi stenteremmo a capire se si tratti di ragazzi realmente emarginati e storditi nei loro gesti catatonici o semplicemente di abili performer perfettamente calati nella gestualità quasi ritualizzata di chi si trova sotto l’effetto straniante di certe sostanze.
Si passa, con un montaggio sporco in linea con il plot, a situazioni abbastanza esplicite e plausibili, dallo sfinito ragazzo biondo che mostra i suoi denti marci mentre fuma crack e si scatena in una serie di gesti spastici e disarticolati, facendo notare via via una costellazione di pustole sul suo corpo, crosticine, cicatrici e tagli, quasi uno zombie in via di putrefazione, ad altre scene di disagio analoghe in cui si sottolinea un drammatico stato di abbandono, ad indicare una piaga allarmante, se pur a volte con un certo tono farsesco che forse può suscitare qualche dubbio sull’opportunità di questa scelta.
E intanto nell’angusto laboratorio, il nostro chimico bardato da cima a fondo come un clone di Walter White, si appresta a completare tutte le fasi preparative per confezionare l’ennesima sostanza da mettere sul mercato.
THEE OH SEES. MATT YOKA. 2016.
