I MOSTRI FUORI DALL’ARMADIO.
Dopo che una didascalia avverte coloro che combattono i mostri del pericolo di diventare mostri a propria volta, perché “se guardi in un abisso, l’abisso ti guarda dentro”, come disse il vecchio Nietzsche (poco conta che la citazione sia qui attribuita a Mark Twain!), iniziano le folli danze di un incubo infantile destinato a suscitare più di una perplessità, e per più di una ragione.
Il regista Ray Tintori traduce ottimamente in immagini il sound evasivo e psico-elettronico degli MGMT, confezionando un poliedrico videoclip che mescola con controversa ironia live-action e animazione, horror e drammedia.
Un breve conto alla rovescia costituito da burattini numerici che sembrano usciti dal sogno acido di un intrattenitore per mocciosetti, l’attenzione si sposta su un tenero bambino di pochi anni che, immerso nell’oscurità della sua stanzetta, osserva le tenebre attraverso le sbarre del suo box.
In questo carcere ante-litteram, gli aguzzini che affiorano dal buio sono muniti di lunghi artigli e denti acuminati: i classici mostri che infestano le fantasie dei piccoli, che li tengono svegli la notte e, nel peggiore dei casi, lasciano brutti segni indelebili nell’inconscio.
Ciò che mette i brividi non sono tanto le creature in sé, che nei loro ingombranti costumoni al lattice sembrano usciti da un B-movie degli anni ’80, ma la reazione del giovanissimo attore, che, in lacrime e urlante (seppur di fatto zittito dal brano in esecuzione), tenta invano di farsi sentire da un irrintracciabile salvatore.
Le reazioni del piccolo sono così credibili da far nascere il dubbio che Tintori lo abbia effettivamente terrorizzato durante le riprese per amor di realismo filmico! Le legittime preoccupazioni del pubblico si sono rivelate comunque infondate: il making of del video ha provato una volta per tutte che il bimbo stesse in realtà recitando. Lode alla sua performance, e al suo coraggio!
In ogni caso, a spaventare maggiormente è la madre dell’innocente protagonista: giovane, sgraziata, incollata al telefonino e totalmente menefreghista nei confronti del figlio. Questa “cara mammina” (su cui non stonerebbero tragici risvolti cronachistici alla Casey Anthony) se lo porta distrattamente con sé durante imprecisate – ma senz’altro importantissime – commissioni mondane, incurante dei lamenti del piccolo, il quale persino alla luce del sole, per strade, viottoli e sui volti dei passanti, continua a scorgere mostri e obbrobri deformi.
Una vera e propria carrellata di make-up assurdi e bizzarre creazioni prostetiche, che manderanno in visibilio i vecchi fan del cinema barkeriano in stile Cabal o della comicità corporale-demenziale di reperti da videoteca come Freaked – Sgorbi.
Mentre la band si esibisce con indosso strampalati costumini argentei che non sfigurerebbero nella parodia pornografica di un vecchio film di fantascienza, mamma e figlio salgono in macchina e sfrecciano verso un’ignota destinazione.
Qui il bambino viene – per così dire – intrattenuto da un minimonitor piazzato sul poggiatesta del sedile del guidatore, che trasmette uno show per l’infanzia. E con programmi del genere, come si può pretendere che gli spettatori in età prescolare si godano sonni tranquilli?
Fra pupazzi terrificanti, montaggi video psicotronici e un agghiacciante uomo-cane in abiti nobiliari, sembra che la dimensione uncanny delle creepypasta abbia preso il controllo dei palinsesti televisivi. E non solo di quelli, ripensandoci meglio!
Durante l’ultima spinta onirico-allucinatoria del piccolo protagonista, il mondo abbandona definitivamente ogni allaccio con la realtà, trasformandosi in un cartone animato lisergico frutto della sfrenata e irriverente immaginazione di Christy Karacas, il cui tocco visionario e graficamente “grungy” mette in moto una reazione a catena di mutazioni, transizioni metamorfiche, parti mentali di inebriante e angosciante stramberia.
L’alter ego animato del bimbo fugge dagli orrori del pazzo universo circostante, senza un attimo di requie, senza possibilità di fuga, neanche quando capita casualmente sulla mano gigantesca del cantante Andrew VanWyngarden: anziché trarlo in salvo, anch’egli si trasforma in un demone incorporeo, ingurgitando infine la sua povera vittima in un oblio assoluto.
In ogni caso, suona buffo e triste come il pargolo, in mezzo a tante scintille di traumatico delirio, non sembri capire che l’unico vero mostro della storia è quello – concretissimo e umanissimo – che sta alla guida dell’auto…
MGMT. RAY TINTORI. 2009.