A BARELY LIT PATH / ONEOHTRIX POINT NEVER (FREEKA TET)

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UN FUTURO DISTRUTTIVO.

Un viaggio verso l’ignoto, una corsa fuori controllo, un destino dubbio ma comunque inevitabile.

Lascia di stucco il videoclip confezionato da Freeka Tet per il travolgente singolo di Daniel Lopatin, in arte Oneohtrix Point Never (o OPN).

Quando un clip – inteso ovviamente nel suo sodalizio di immagini, luci, suoni e musica – riesce a divertire lo spettatore, stupirlo, sconvolgerlo a livello sensoriale, ispirargli riflessioni esistenziali e persino commuoverlo, la definizione di capolavoro deve essere necessariamente presa in considerazione.

Ci troviamo a bordo di una vettura che avanza a velocità sostenuta in quella che si direbbe una strada di campagna, “scarsamente illuminata”, come il titolo della canzone precisa.

Insomma, un regolare tragitto notturno in auto, sebbene le stranezze non tardino a farsi notare. Gli stessi oggetti sparsi nell’abitacolo – come una scacchiera, un indicatore della “batteria sociale”, un libello dedicato all’intelligenza artificiale – suggeriscono un mondo abituato all’automatismo, alla logica meccanica, alla mentalità calcolatrice di una popolazione avvezza (se non assuefatta) alla tecnologia e ai comfort che da essa derivano.

Su un libro in particolare si sofferma l’occhio della macchina da presa: Erewhon di Samuel Butler. Si tratta di un romanzo fantastico risalente all’età vittoriana; in esso l’autore descrive un immaginario paese utopistico, sotto cui si cela una sagace satira rivolta alla società dell’epoca. Un “mondo perfetto” che, tuttavia, tanto perfetto in fondo non è.

Le inflessioni allegoriche si fanno più marcate quando scopriamo che, alla guida della macchina, non c’è nessuno. Gli unici due passeggeri, infatti, sono anonimi manichini, e nello specifico pupazzi utilizzati per le simulazioni di RCP.

Da come si presenta la scena, comunque, pare che questa coppia di fantocci abbia preso le distanze dalle proprie occupazioni abituali per dedicarsi ai… crash test!

Costretti ai loro posti da pesanti imbracature di sicurezza, simili a quelle usate per i bambini piccoli, i nostri due amici – ebbene sì, sono semoventi e senzienti, a dispetto della loro naturale inespressività – si godono il percorso fra una chiacchiera silenziosa, una mossa sulla scacchiera, una lettura alle pagine di Butler.

Sembrano ignorare la propria destinazione, ma le loro mani gonfiabili si sfiorano con tenerezza, come se fossero lieti di affrontare quello strano viaggio insieme, ovunque esso li porti.

Un’auto, simbolo della concretezza moderna, del progresso che avanza inarrestabile recando con sé l’umanità, la quale, volente o nolente, deve sottostare ai suoi ritmi incalzanti, alle sue direzioni misteriose, fra gli agi e l’inerzia, segretamente privata del suo libero arbitrio…

Ma le cose cominciano a farsi preoccupanti.

La musica di Lopatin si fa frenetica, passando dai rilassanti accenti onirici dei preamboli a un crescendo sonoro frastornante, sconcertante, e allo stesso tempo straordinariamente ammaliante. Le luci della strada aumentano di numero e intensità, sfociando in un vero e proprio spettacolo stroboscopico, certamente inadatto a chi soffre di epilessia. La velocità dell’auto aumenta a dismisura, fino a raggiungere valori astronautici.

Echi di Kubrick e dell’indimenticabile atto finale di quello che, forse, è il miglior film di fantascienza mai prodotto – il celeberrimo 2001: Odissea nello spazio – si rifaranno sicuramente vivi nella memoria del pubblico.

Per quanto non si possa che restare affascinati dall’energia e dalla forza emotiva della sequenza in esame, ci si rammarica per la triste sorte dei due protagonisti, che presa coscienza della situazione tentano disperatamente di frenare il mezzo: basterebbe spingere un unico bottone, una fermata di emergenza posta a pochi centimetri dalle loro dita.

Ma il veicolo è celere, troppo celere per consentirgli di raggiungere il pulsante. I poveretti arrivano addirittura a disintegrare i loro stessi corpi, cercando di utilizzare gambe e braccia mozzate per attivare il meccanismo di arresto.

L’ultima scena fermenta nell’ambiguo, sottolineato dalle ovattate sonorità purgatoriali della composizione. Un’illuminazione scarlatta avvolge l’ambiente, mentre il video si distorce in montaggi speculari, sdoppiando e dimezzando allo stesso tempo i due soggetti, in una forma di annichilimento che tende all’insondabilità dell’infinito.

Saranno riusciti i due manichini a dare infine lo stop, restando sospesi in un attimo interminabile? Oppure è questo che si prova dopo il temibile impatto alla fine del test? E, in ogni caso, chi (o cosa) sarà mai il grande supervisore dell’esperimento appena concluso?

Tanti quesiti, nessuna risposta certa. Solo un potente, euforizzante, a tratti anche angoscioso ma meravigliosamente inebriante, indefinibile senso di vita, di morte, di eternità.

ONEOHTRIX POINT NEVER. FREEKA TET. 2023.

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