LA MORTE CAMMINA SUL FIUME.
Dopo averci terrorizzato ed elettrizzato coi folli I’m Not Who You Think You Are e Love Has Eyes, il regista belga Jonas Govaerts (che i fan dell’horror ricorderanno per quella piccola gemma di cattiveria intitolata Cub – Piccole prede) torna a dirigere un videoclip per i Millionaire.
L’ultimo tassello della trilogia tratta dall’album Silencing, tuttavia, si discosta nettamente dai capitoli precedenti, non solo a livello concettuale-narrativo (nessun riferimento al misterioso “elisir lacrimale” dagli effetti devastanti), ma anche ritmico e visivo.
Abbandonati gli exploit scioccanti e frastornanti dei suoi trip lisergici, il videomaker – forse “mitigato” dall’intervento di Alison Engels, che qui lo affianca nella realizzazione – si addentra in territori più fini e spirituali, servendosi della macchina da presa per catturare immagini suggestive e criptiche, ricomposte in sede di montaggio in un flusso fascinoso, dal significato arcano.
L’autore, in ogni caso, non rinuncia al proprio gusto per l’onirismo, né tanto meno a un’appurata propensione per l’inquietudine, ma li rielabora secondo la metrica emotiva suggerita dal brano stesso, a partire dall’emblematico titolo.
Seguendo il riff lento ed evocativo di Tim Vanhalem, l’atmosfera si tinge di toni lynchiani, anche per certe similarità uditive con la colonna sonora di Twin Peaks, rilasciando eterei effluvi di funereo mistero e allucinata trascendenza.
Il sole è ormai calato e ci troviamo in un bosco, nei pressi di un lago.
A colpire subito è l’esoterica gamma cromatica che abbraccia l’ambiente: la calma cimiteriale di un blu tenebra viene rotta dall’aggressività di un rosso fuoco, passando per tutte quelle pacate nuance che ci aspetteremmo di osservare in uno scorcio idealizzato di beltà silvestre, dal verde smeraldo alla terra di Siena.
I colori sono morbidi, pittoricamente calibrati, asserviti all’effetto estraniante del ralenti, alla fantasmica onnipresenza di fumo e nebbia, alla naturale languidezza dell’elemento-chiave del video – l’acqua.
Proprio dall’acqua cominciano ad affiorare i lineamenti della protagonista femminile di questa breve escursione nell’inconscio: si tratta della musicista Klara Klein, che alla sua prima apparizione in scena si presenta inerte, con gli occhi chiusi, come un cadavere sommerso.
Il suo comprimario, lo stesso Vanhalem, riveste dapprima il ruolo di un musico-guru, che – talvolta con una benda sugli occhi – colma il silenzio della notte a colpi di chitarra e voce, in un’oscura, ipnotica melodia.
Ma le parti sono tutt’altro che definite: basta un taglio di montaggio perché Klein passi dalle vesti di vittima delle acque a enigmatica ondina di quello specchio lacustre, o perché il frontman del gruppo si ritrovi a galleggiare placidamente, a occhi chiusi, insieme a ornamenti floreali come in un rituale funebre.
Ai cullanti riverberi dei climi notturni, rotti saltuariamente da flash di visionaria irrazionalità, si alternano sequenze girate alla luce del giorno, in cui la coppia si ritrova immersa nell’acqua fino al busto; la ragazza gira attorno al cantante, camminando solennemente, con rigore da cerimonia, mentre il suo strascico disegna carezzevoli volte sulla superficie.
La luminosità di questi segmenti, tenue ma antitetica rispetto al contesto, sembra richiamare un contraltare sacramentale ai sentori mortuari dell’ensemble, quasi intersecando il momento delle esequie ai ricordi del battesimo.
Morte e nascita, che coesistono e si inseguono nel reame di un soave incubo, dando prova di continuità e ciclicità, sottomettendosi ai segreti insondabili di una realtà che non segue la comune logica, che rimesta negli strati sotterranei dell’io e tocca le corde dell’anima.
Klein e Vanhalem sono forse uno sdoppiamento del medesimo individuo, in una riflessione delirante sull’esistenza poco prima del sopraggiungere della Fine? In fondo li vediamo fluttuare assieme, spalla a spalla, in più di una ripresa.
E se invece fossero due personalità distinte, quale potrebbe essere il loro legame? Qualcosa di morboso, forse criminoso? Vittima e carnefice riuniti dal gelido tocco della Trista Mietitrice in un ultimo viaggio psichico fatto di accuse, memorie e rimorsi?
Insomma, di interpretazioni e simbolismi ci si può riempire la testa, e la trascinante cura estetica offerta da Govaerts e Engels rende il compito assai gradevole.
Certo, però, che un po’ mancano le auto-trapanazioni craniche e gli occhi pazzerelli che rigurgitano rigagnoli lattiginosi…!
MILLIONAIRE. JONAS GOVAERTS. 2018.