TREAT YOU RIGHT / THE JUNGLE GIANTS (JULIAN LUCAS)

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UN VIDEO… DA INVASATI.

Prendersi cura di sé è l’estrema sintesi della lista di ottimi consigli che qualsiasi life coach sarebbe tenuto a diffondere, e in soldoni il primo passo verso un’esistenza serena.

La visione che qui ne offre il videomaker Julian Lucas è tuttavia molto più ironica, paradossale, e sotto certi persino inquietante di quanto si sarebbe portati a immaginare.

Mentre il riff ultra-catchy del brano dei Jungle Giants risveglia nel pubblico l’istintivo bisogno di muovere la testa a ritmo, osserviamo il frontman del gruppo Sam Hales nel suo habitat naturale.

Non esattamente il tipo di habitat che ci si aspetterebbe da una star musicale: un camper perso nel verde della campagna, di cui il cantante è il solo abitatore.

Una vita in solitaria, insomma, in antitesi rispetto a una rumorosa mondanità “professionale” che, almeno in sede privata, il nostro tenta evidentemente di fuggire.

Dai pochi indizi che trapelano dalle prime immagini, scopriamo che la botanica è senz’altro uno degli hobby favoriti dal buon Hales: poco distante dal suo rifugio su quattro ruote, infatti, s’innalza la sua bella serra privata, ricolma di vasi e piante di ogni genere e specie.

Anzi, il musicista sembra così meticoloso nella sua attività da tenere costantemente d’occhio l’ambiente tramite telecamere di sicurezza. Ma non è questo l’aspetto più bizzarro, da quanto possiamo constatare: com’è possibile che in uno dei monitor Hales stia guardando proprio se stesso, addormentato in mezzo alla vegetazione?

La risposta alla domanda non arriva come uno sconvolgente plot twist, ma viene gradualmente rivelata allo spettatore in un irresistibile crescendo di stramberia e surreale umorismo.

Di mattina il nostro si reca all’interno della serra, opportunamente vestito e accessoriato per l’occasione, con l’aria soddisfatta e la dimestichezza tipica di chi segue una gradita routine.

Qui, fra le centinaia di specie vegetali, la sua attenzione è rivolta verso un particolare contenitore ricolmo di soffice terra, dalla cui sommità sta affiorando un germoglio un po’… peculiare!

Eh, sì, la forma tondeggiante, il colore rosaceo, la consistenza epidermica… quella lì è nientemeno che una chierica umana! E Hales non è per niente sorpreso, anzi: la accarezza con l’orgoglio di un bravo agricoltore pronto a godersi i frutti del proprio lavoro.

Non è l’unica anomalia in questa Wunderkammer rurale: in ogni angolo spuntano vasi ospitanti persone in carne ed ossa, e precisamente copie identiche del cantante.

Con quale intrico di esperimenti biologici o di arcani sortilegi sia riuscito a creare un così fiorente orto di cloni, non ci è dato saperlo, ma di sicuro Hales tiene la situazione perfettamente sotto controllo.

E così, giorno per giorno, di concimatura in annaffiatura (e speriamo non siano contemplate eventuali potature…), i cloni cominciano a crescere e a svilupparsi; nel frattempo il loro creatore si occupa di loro in ogni senso, dalle spugnature per gli arbusti più cresciutelli alla ricreativa condivisione di uno spinello con chi, invece, è formato solo dal collo in su.

In un’ambigua mistura di paterna tenerezza e scientifica freddezza, rivive il mito di Pigmalione fra gli estremi di un malinconico narcisismo e una latente insoddisfazione esistenziale, fra l’estensione parodistica di una fantasia autoerotica e la ricerca di un benessere idealizzato, più facile da proiettare su un simulacro di sé che sulla propria persona.

Eppure, quando uno dei cloni, ormai grande abbastanza, prende il coraggio di uscire dalla sua incubatrice di terracotta e si presenta, ovviamente ignudo, dal suo paparino, le reali – e poco etiche – intenzioni di quest’ultimo si svelano.

Una volta vestito e istruito a dovere, specie sotto il profilo canoro, il clone viene infine condotto da Hales a un party in vece sua. Accolto calorosamente dalla folla, il doppio scompare dietro le porte della sala, prendendo una volta per tutte il posto del cantante e aggiudicandogli una pensione anticipata.

Insomma, da un velato egocentrismo si vola all’egoismo, da toccanti terapie tragicomiche contro la solitudine si passa in un batter d’occhio alla spietata “sindrome di Frankenstein”. L’encomiabile amore per sé, per il proprio fisico, per il proprio spirito, si trasforma in una parassitaria deviazione del concetto di genitorialità, retta sullo sfruttamento e sull’anaffettività. L’artista si fa padrone, l’opera d’arte semplice merce da dissanguare.

E il buon Sam Hales intanto se la ride…

Ma ammettiamolo, chi non ha mai sognato un sosia segreto da spedire a scuola, al lavoro, alle cene coi suoceri…? Almeno in un videoclip, sembrano suggerire il cantante e il regista, mandiamo sarcasticamente a nanna il buonsenso morale!

2021. THE JUNGLE GIANTS. JULIAN LUCAS.

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