ANCHE L’OCCHIO VUOLE LA SUA PARTE.
Ci sono video che, pur sfruttando un concept narrativo tutt’altro che nuovo, riescono nondimeno ad attrarre l’attenzione su di sé, se non addirittura a incantare l’osservatore.
È per l’appunto il caso del qui presente clip diretto da Jarek Tokarski, del gruppo creativo Point of You, che partendo dai classici miti di Pigmalione e del Golem ebraico costruisce un racconto sicuramente familiare, ma in grado di sorprendere sul piano visivo, dall’uso ineccepibile di luci e colori all’azzeccata scenografia.
Ma diamo a Cesare quel che è di Cesare: un buon contributo emotivo è offerto dalla straordinaria intensità del brano di Perfect Son, nome d’arte del polacco Tobiasz Biliński, che si era già fatto conoscere come Coldair.
Un sound evocativo, ora soffuso e dolce, ora ansiogeno e veemente come un componimento epico, che riflette la particolare fisionomia di Anna Paliga, protagonista della vicenda. Il suo volto duro e delicato al contempo, in cui convivono amore e sofferenza, sembra modellato su misura per il video.
E “modellato” è un termine ironicamente appropriato.
Ci troviamo all’interno di un palazzo dismesso, nel mezzo di una zona industriale apparentemente abbandonata. Non è chiaro in che epoca si svolgano i fatti: la decadenza delle mura e l’arredamento antiquato possono suggerire tanto un futuro distopico quanto la mesta fatiscenza di un passato recente.
In una stanza adibita a studio, una giovane donna, nervosa e smagrita, si arrovella maneggiando appunti scritti a mano e svariate pagine sparpagliate sullo scrittoio.
Intorno a lei si innalzano mensole ricolme di faldoni e fogli appiccicati alle pareti, vecchi apparecchi fotografici e piccole cineprese, schermi digitali dell’anteguerra e… occhi!
Già: la ragazza conserva una piccola collezione di bulbi oculari di diverse forme e colori; occhi artificiali ma di consistenza organica, ripugnanti e inquietanti, dei quali si capirà molto presto la funzionalità.
In un angolo del salone, infatti, se ne sta inerte uno strano manichino dalle fattezze maschili, simile a una scultura di creta mal foggiata: metà del corpo è segnata da piaghe simili a ustioni, l’altra si limita a emulare i tratti somatici di una maschera antropomorfa.
Il viso del manichino – che ricorda un mix da film horror fra il pupazzo di Chi c’è in fondo a quella scala… e l’assassino di La maschera di cera del 2005 – può ospitare nella sua deformità un occhio solo, ed è appunto ciò su cui la sua creatrice sta lavorando.
Dopo svariati tentativi, questa novella Victoria Frankenstein arriva alla conclusione che, per funzionare una buona volta, il bulbo debba essere scolorito, apponendo una lente a contatto bianca sulla cornea limacciosa.
La creatura può adesso ammirare il mondo circostante… Un bel paradosso, dato che l’assenza di pigmentazione nell’iride lo ha reso simile a un non vedente!
Ma si sa, l’amore è cieco… e considerate le condizioni in cui versa l’ambiente, forse l’oscurità è preferibile!
In ogni caso, ciò che conta davvero è che ora il manichino è miracolosamente vivo, e che la sua scultrice ha finalmente un compagno con cui condividere la sua solitaria quotidianità. Lo abbraccia teneramente, con l’orgoglio di una madre e l’affetto di una moglie.
In un’area persa in arte e magia, scienza e psicosi, Paliga inizia a istruire il suo partner ideale, lo sottopone a test di riflessi e di manualità, gli insegna a mangiare da solo, a scrivere, ad amare.
Tuttavia, i segni di decadimento sono evidenti: le risposte agli stimoli rimangono molto vaghe, e persino gli incontri più intimi della coppia sembrano ostacolati da forze indeterminabili, fra l’impossibilità fisica dell’atto sessuale e la consapevolezza della sostanziale futilità del tutto.
Infine, la creatrice ammette la sconfitta e si abbandona a una sfuriata: dopo aver messo a soqquadro il laboratorio, cosparge di liquido infiammabile documenti e strumentazione tecnica, accerchiando sé e il suo fantoccio in una trappola di fuoco pronta a scattare.
Un solo fiammifero acceso, un ultimo disperato sorriso in faccia al bizzarro amante, e poi il buio.
Una tragica cremazione, preannunciata già nell’incipit del video.
A noi resta un cortometraggio fascinoso, descrivibile come un episodio di Black Mirror scritto da un autore gotico di fine Ottocento.
In un’era in cui i contatti interpersonali si rarefanno sempre più facilmente e l’assuefazione alle distanze asseconda una diffusa ansia esistenziale, la popolazione tende ad arginare il problema creando surrogati umani con cui relazionarsi, riducendo l’ineffabile essenza del sentimento a un materiale plasmabile, rassicurante nella sua illusoria controllabilità.
Dalle Apollonie alle Alexe, il tragitto non è poi così lungo…
PERFECT SON. JAREK TOKARSKI / POINT OF YOU. 2019.