COLOURBLIND / ELLIOT THE BULL (SAMUEL LEWIS) 

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L’INPERMANENZA DELL’ESSERE.

“Elliot the Bull” è una band australiana in vita dal 2010, dal suono indie-folk che ahimè non ha avuto grandi fortune, nonostante un discreto appeal pop nelle armonizzazioni e nelle strutture. I ragazzi hanno dato alle stampe due EP autoprodotti e poi sono spariti, e proprio dal secondo EP è estratta questa “Colourblind”.

Il video in questione è stato fatto da un animo paziente e certosino (come quello dei monaci buddisti che creano complessi mandala con la sabbia per poi distruggerli a costante monito dell’impermanenza delle cose). L’animo paziente dietro le quinte di questo video è il signor Samuel Lewis illustratore australiano, esperto in animazione 2D, e creatore di pupazzi (trovate il suo bel portfolio qui.

La sua pazienza, creatività ed espressività si è misurata con un video creato completamente in stop-motion fatto con il legno, ebbene sì stop-motion col legno. Quindi tutto ciò che verrà riportato da qui in poi sarà sempre e inevitabilmente “di legno”.

Un’enorme pietra lavorata è al centro della scena, rialzata da terra, mentre una per volta piccole piramidi ordinate prendono il volo, come in una coreografia rimanendo a mezz’aria. L’enorme pietra ruota su se stessa fino alzarsi a mezz’aria, d’improvviso le piramidi cadono a terra, e poi anche la pietra crolla a terra con violenza andando in pezzi. 

Alcuni pezzi si scostano mentre altri sospesi mostrano una strana sagoma raggomitolata su se stessa. Con calma la sagoma si anima, prende vita, muovendo le mani aprendo braccia e gambe, per poi alzare la sua testa di mostro dalle lunghe corna con un corpo dalla forma umanoide.

Muovendo le mani si accorge che è capace di spostare tutte le piccole piramidi attorno a sé, per un attimo si ferma persino a guardare le mani come non si capacitasse nemmeno lui del suo potere. Poi, con la sola imposizione delle mani fa comparire una serie di cactus che riempiono tutto lo spazio visibile con al centro un gruppo di dolmen. In preda a questa forza crea un’enorme piramide a gradoni sotto ai suoi piedi, così ora può vedere il mondo attorno a lui da un’altra angolazione.

Il protagonista appare sconfortato col suo sguardo basso e quando una piccola piramide gli vola accanto, lui la guarda sorpreso e cerca di prenderla ma lei è sfuggente, e così ora comincia la ricerca della piramide. La piramide cade a terra, e dalla terra esce un’altra pietra lavorata in tutto e per tutto uguale a quella iniziale non fosse per il colore più scuro.

E mentre la pietra scura ripete lo stesso rituale della prima, il mostro guarda la scena incuriosito. Dalla seconda pietra esce un secondo mostro più scuro che ipnotizzerà con lo sguardo il nostro protagonista.

Così con il suo potere fa comparire davanti a quello più al mostro scuro un cactus dal nulla, ma appena il nuovo giunto tocca il cactus diventa nero e si infrange a terra in tante minuscole piramidi. 

Il nostro protagonista ora è visibilmente pensieroso, mentre il secondo venuto si muove verso i dolmen, prova a toccarli e subito si scuriscono per poi cadere a terra, distrutti e lentamente tutto ciò che era stato creato viene colpito dall’oscurità che distrugge tutto lo scenario.

Con un solo colpo di gamba il mostro scuro fa scomparire il terreno, e rimane soltanto una piccola pedana volante che contiene solo i due mostri. Il mostro scuro si avvicina, tocca quello chiaro che istantaneamente cambia colore e cade a terra in tante piccole piramidi.

Raccontato così sembra un riassunto della solitudine dei numeri primi, o una riflessione (amara?) su come tutto transita e riprendendo l’inizio dell’articolo nulla è per sempre.

ELLIOT THE BULL. SAMUEL LEWIS. 2015.

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