LAZARUS / DAVID BOWIE (JOHAN RENCK)

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“LAZZARO, ALZATI E CAMMINA!”

Nessun artista più di David Bowie (1947-2016) ha saputo padroneggiare il mestiere di rockstar. Aveva enormi qualità ma ha cercato sempre di migliorarsi, non si è mai bastato.

É stato un grande cantante, un grande interprete, un catalizzatore di talenti.

La sua discografia è piena di opere che trascendono il campo musicale, il più famoso è sicuramente “Ziggy Stardust” che definire un concept è riduttivo, ruota attorno ad un personaggio di fantasia (sviluppato poi fino a diventare il marziano caduto sulla terra) racconta una storia quasi come fosse un musical.

Nel 1995 in “Outside” accompagna le canzoni “The hearts filthy lesson” con i racconti di Nathan Adler, una sorta di investigatore che sbroglia una serie di omicidi rituali, utilizzando la tecnica del cut-up frutto delle frequentazioni con William S. Burroughs.

Le sue canzoni avrebbero sicuramente avuto successo anche senza i vestiti che abilmente gli sono stati cuciti addosso.

La parte teatrale delle sue movenze che vengono da Lindsay Kemp e, tramite lui, dal teatro “Kabuki”, certo lo hanno reso uno delle rockstar più riconoscibili del pianeta.

Come poteva uno come lui lasciare questo mondo se non trasformando anche il Bowie morente in un’opera d’arte?

Il suo ultimo disco “Blackstar” esce pochi giorni dopo la morte, anche questo è un disco che ha un tema centrale, la sua Morte.

David Bowie affida a Johan Renck (che ha nel suo curriculum anche la serie “Chernobyl”) la regia di due video: quello che trovate al link sotto e Blackstar.

I due video hanno diversi tratti in comune, come in un famoso gioco della settimana enigmistica che invitava a scovare in due tavole diverse la presenza di alcuni oggetti.

Soffermatevi sull’espressione del suo volto, sebbene, per gran parte del video, in parte coperto da una benda e da due occhi posticci (questo era uno dei particolari ricorrenti ma voi trovate gli altri).

Gli occhi di Bowie, di colore diverso, uno verde l’altro blu.

Bowie ha avuto frequenti incursioni nel mondo della celluloide, personaggio per nulla marginale nel blockbuster “Labyrinth”, accanto a Catherine Deneuve nel cupo “The Hunger”, protagonista del fantabiografico “The man who fell on Earth”, è il soldatino magrolino in “Furyo” che ha una colonna sonora fantastica di Ryuichi Sakamoto.
Non sorprende che anche nei video musicali appaia credibile e coinvolgente, fa bene Renck (che nell’altra clip dello stesso album si prende maggiori responsabilità) a lasciargli la scena con una regia che si accontenta di essere “testimone”.

Spesso i videoclip che inquadrano semplicemente la faccia del cantante sono monotoni, non accade se il cantante è David Bowie.

Nel suo epitaffio Bowie mostra cosa è in quel momento, alla soglia dei 70 anni con un tumore che lo sta uccidendo, e ricorda quello che è stato (accennando mosse e passi di danza della sua giovinezza).

Ci ha lasciato un grande album (“Blackstar” a mio avviso è uno dei suoi migliori dischi di ogni tempo) e ci ha lasciato un universo di maschere che nessuno riuscirà ad indossare senza esporsi ad ingenerosi paragoni.

Magari tra qualche anno riesumeranno la salma e troveranno la bara vuota, Lazzaro si è rialzato ed è ritornato con i “Ragni su Marte”.

DAVID BOWIE. JOHAN RENCK. 2016.

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