CONVULSIONI DA CARTOLERIA.
Un televisore vecchio modello con schermo fisso su statico: immagine d’altri tempi che qualcuno riterrà confortante, nostalgica. Eppure il ronzio del rumore bianco, il caotico candore della “neve” che flirta in qualche modo con l’idea di abbandono, o addirittura di assenza di vita, risveglierà di qualcun altro sentori di inquietudine.
A maggior ragione quando l’apparecchio in questione è in realtà un disegno su cartoncino, stilizzato alla maniera delle antiche xilografie, e gli scatti epilettici che si scrutano dal monitor procedono alla velocità di pochi frame al secondo.
C’è poco da discutere: la tecnica della cutout animation, quella branca della stop motion che si serve di illustrazioni o di fotografie opportunamente ritagliate e articolate come vere e proprie marionette bidimensionali, è semplicemente perfetta per concretizzare visioni da incubo.
Se eseguita con materiali grezzi, ripudiando la fluidità dei movimenti e la precisione dell’assemblaggio, il format acquista un potenziale angoscioso difficilmente riproducibile con altri mezzi visivi.
Doveva esserne consapevole il poliedrico artista Eric Livingstone dei Mamaleek, che ci ha purtroppo lasciato nel marzo del 2023.
Nel videoclip da lui concepito per i Dead Cross divampano la forza devastatrice delle movenze schizzate, l’essenza destabilizzante dell’irrealismo figurativo medievale, la macabra violenza dell’immaginario gore, l’ironia sacrilega delle icone profanate, la raccapricciante parodia di capisaldi sociali e politici dell’età contemporanea.
Una caotica sequela di orrori grotteschi e scafatamente ironici, rappresentazioni di deliri cartooneschi che si nutrono di grida rabbiose affogate in risa compiaciute.
Il tutto si ritrova magnificamente unito alla brutalità sonora del supergruppo statunitense, rielaborando in forma estrema la tradizione delle fantasmagorie di Harry Smith, autore del peculiare Heaven Earth and Magic.
Si parte col viso di Trump che si squaglia poco per volta, mentre una storpiatura della bandiera a stelle e strisce gli si sovrappone con l’allucinatoria palpitazione di un messaggio subliminale.
Illustrazioni statiche di atroci torture vengono portate grossolanamente in vita; volti umani vengono scuoiati con coltelli da cucina; modelli antropomorfi che sembrano usciti dai manuali di anatomia si trasformano in monumenti carnosi degni di Clive Barker.
E poi ancora: immagini sacre ed effigi poliziesche deturpate da grossi bagarozzi, tristi mietitori che giocherellano con le loro falci, scheletri che si esibiscono in danze sincronizzate segmentandosi come tessere di un puzzle, cervelli tentacolati in stile fantascienza anni ’50…
In mezzo alla follia imperante, saltano all’occhio piccole perle di maestria compositiva, come una mano che sfoglia distrattamente foto di sederi femminili su uno smartphone, finendo beffardamente per essere morsicata dallo stesso telefono a seguito di un “like” di troppo.
E dopo un balletto del solito Mr. President sotto una pioggia di bombe atomiche, passando poi per la testa del suddetto Donaldone che si concede un tuffo giù nel water, si arriva all’emblematica visuale di un ATM che pare racchiudere tutte le pazzie finora citate, davanti agli occhi come sempre penosi del Cristo paziente.
Infine, un teschio contratto in un urlo di agonia si mette a roteare seguendo il feed distorto di chitarra che chiude il brano, in un epilogo che non avrebbe sfigurato in qualche presunto film maledetto dalle parti dell’Opera mortem di David Fleas.
Nella sua rozzezza tecnica, così calzante in un tal contesto musicale, il clip resta un’efficace testimonianza della graffiante poetica e della laboriosità di Livingstone, capace con qualche pezzo di carta e tanta determinazione di confezionare un’incisiva e disturbante compilation di insania artigianale.
Se saltasse fuori un making of, ci troveremmo dinanzi alla miglior puntata di Art attack di sempre!
DEAD CROSS. ERIC LIVINGSTONE. 2017.