DRAINED LAKE / METZ (SHAYNE EHMAN)

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MIAGOLII PSICOTRONICI.

Un orologio che pare uscito dall’officina di Becky Sloane e Joseph Pelling (quei geniacci dietro la web-serie Don’t hug me I’m scared) fa scattosamente roteare le sue lancette alla rinfusa.

L’immagine del bizzarro tictoc si sdoppia – anzi, si triplica – e subito capiamo che qualcosa di pazzerello sta per accadere…

Si tratta soltanto di un breve proemio per centottanta secondi di energia lisergica concretizzati in uno zibaldone di eclettico compositing digitale.

Il sound ruvido e grintoso dei METZ dà il la alla collezione di stramberie qui riunite da Shayne Ehman, la cui acida fantasia riesce a porre sul medesimo piano esistenziale utensili da cucina, antropomorfismo extra-biologico e astrattismi animati.

Mediante tecniche creative disparate, tra stop motion, live action, sovrapposizioni di figure in chroma key, trucchi prostetici e animazioni bidimensionali, il videomaker combina umorismo e inquietudine, surrealismo e artigianato.

Lo stile è verace, tutt’altro che lezioso, in un’imperfezione grafica che sembra richiamare l’anima sporca e noise del brano in esecuzione.

Brano che, stando a quanto si vede nel clip, viene suonato da un intero complesso di uomini-forchetta intenti a strimpellare strumenti fatti con altre argentee posate!

Una teglia per muffin vola come un UFO attraverso le pareti di una casa, mentre la giovane padrona della stessa osserva assorta il cielo dalla finestra.

Una costellazione di polvere e detriti vari si frastaglia erratica negli occhi di un fantasmatico gatto, solo per ricomparire successivamente nella forma di un rotolacampo semovente! Già, una palla di peli e scorie che se ne va a zonzo per il pavimento, indispettendo un paio di piedini che, così chiusi in scarpette di vernice nera, ricordano il prologo delittuoso del Profondo rosso di Dario Argento.

Di tanto in tanto il batuffolo si scompone, palesando il disegno di un volto umano che segue col labiale il testo della canzone, poco prima che un’impietosa scopa lo spazzi via.

Scopriamo, nel frattempo, che alla ragazza di poc’anzi sono spuntati occhi felini e zanne vampiresche, mentre si diletta a guardare pentolini vuoti su un fuoco spento che sprigionano nell’aria bolle di sapone.

Di lì a poco, la sua testa va a piazzarsi sul corpo di un gatto nero, in una scena che somiglia a una parodia del film Kuroneko di Kaneto Shindō montata alla maniera dell’Hausu di Nobuhiko Obayashi.

Gli uomini-forchetta salgono scale dentro clessidre stagliate su uno sterminato universo di tenebra, scodelle e piatti svolazzano in giro come nel Poltergeist di Tobe Hooper, si rompono e si ricompongono spaventando la protagonista, ormai trasformata completamente in un bel micio domestico.

Bocce violacee sbocciano come frattali roseiformi dalle mani dell’effige umana della ragazza, salutando lo spettatore nell’ultima dissennata sequenza.

Insomma, il risultato è un mishmash caleidoscopico di cui una sola considerazione è pienamente condivisibile: meglio non stare a chiedersi da quale psichedelica fonte abbia attinto il regista per farsela venire in mente!

2017. METZ. SHAYNE EHMAN.

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